“Le faremo sapere, intanto la ringraziamo per aver dimostrato interesse verso la nostra azienda”.

Parlando con un po’ di amiche mi sono resa conto dell’esistenza di una somiglianza paradossale, tra l’email di risposta di un recruiter che non sentiremo mai più e l’ultimo messaggio con il tipo o la tipa che frequentiamo. Per quanto tu abbia utilizzato un piglio brillante per la lettera motivazionale (che neanche il brillantante della lavostoviglie potrebbe) o per quanto tu abbia cercato di non visualizzare immediatamente le sue storie su Instagram, il modo di dileguarsi sarà identico.

È il tono della risposta che trae in inganno

Sì perché non è un “non siamo interessati” o un “meglio che non ci sentiamo più”, ma “le faremo sapere” e “mi faccio sentire io”. Ecco qua. Ti senti Winston Churchill che aspetta una risposta da Roosvelt, in merito all’appoggio delle forze armate americane nella guerra contro i nazisti. Risponderà o non risponderà? Chiamerà o non chiamerà? Sono in questi momenti che la tua vocina interiore ti fa quei discorsi sull’essere padroni del proprio destino e quindi ti suggerisce di prendere in mano la situazione.

Fermati. Non muovere una sola falange su quella tastiera

Continuando il discorso tra una birra e patatine in zona gialla, ci si rende conto che questa storia del prendere in mano il proprio destino non può valere quando il soggetto dall’altro lato non è interessato. Un’azienda che apprezza il  curriculum e non ritiene noiosa la lettera motivazionale, vi contatterà una sola volta e in maniera definitiva. Il tipo o la tipa che frequantate, se ha un minimo di interesse, farà durare molto poco la latitanza. E allora perché si formulano queste risposte illusorie?

Bella domanda

La teoria è questa. Il recruiter copia e incolla le risposte delle email. Molto probabilmente ha visionato il tuo cv a fine giornata o sei il 550 candidato per quell’annuncio. Avrai mancato qualche accento su una “e” che è diventata magicamente congiunzione o c’hai infilato talmente tanta roba in quel curriculum che è diventanto un sandwich.

Il tipo o la tipa che frequenti, invece, sarà l’ennesimo caso umano che incontri . Ti sei fidato del bel faccino, all’inzio sembrava che andasse tutto bene e poi bacioni (anzi gomiti, evitiamo sbaciucchi). Cosa c’è di più semplice nel defilarsi in maniera elegante senza dire addio? La porticina rimane socchiusa, il sovraccarico di lavoro nell’ultimo periodo diventerà una scusa perfetta per riattaccare bottone e dire che si è stati troppo impegnati.

Ma cos’è che ci frega di più?

L’attesa. Da un anno a questa parte ci sentiamo fermi. La sensazione è quella di essere una playlist di Spotify perennemente in pausa. Ci ascoltano per un paio di minuti e poi ci bloccano. Ma in realtà da quel famoso marzo 2020 abbiamo continuato a vivere, non siamo fermi. Stiamo affrontando un nuovo approccio alla vita e queste attese del cavolo, in prospettiva di realizzazione futura fanno parte di un giochetto alle volte snervante.

Lavoro e amore. Li leggiamo tutti i giorni anche sul nostro oroscopo, attendendo che le stelle ci diano qualche dritta. Ma in realtà vorremmo solo la loro risoluzione veloce e indolore, perché il limbo un po’ ci ha stancati.

E allora che fare? Aspettare. Non come abbiamo fatto fino ad ora, ma cambiando la prospettiva: pensare che il meglio non è ancora arrivato.

di Maria Cristina De Rosa

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